Lo straordinario piano di risanamento della Lazio
di Marco Liguori e Salvatore Napolitano
E' una confessione in piena regola, per giunta ribadita. Peccato che
nessuno, specialmente ai piani alti della Federcalcio, della Covisoc e
della Lega, abbia avuto voglia di prenderla in considerazione, né
sembra abbia intenzione di farlo nei prossimi giorni. Del resto, come
è ormai noto a tutti, questa distrazione verso i conti della Lazio
è una disdicevole consuetudine. La confessione in questione è
stata firmata da Luca Baraldi. L'amministratore delegato della società
biancoceleste l'ha affidata alle pagine 10 e 84 del «Prospetto informativo
dell'aumento di capitale», appena terminato con successo, e depositato
presso la sede della Consob, la commissione di controllo sulle società
quotate in Borsa. In esse si legge che al 31 marzo scorso il rapporto
tra ricavi e indebitamento era pari a 0,47: dunque, ben al di sotto di
3, valore minimo richiesto dalle norme federali per l'ammissione al campionato.
Per i lettori del Manifesto non è una novità, poiché
nel numero del 3 maggio scorso il valore del parametro era stato stimato
intorno a 0,45. L'interrogativo sorge allora immediato: come ha fatto
il rapporto a balzare in poco meno di quattro mesi da 0,47 a 3? Sono i
misteri che abbondano da tempo in casa laziale. Basta però un calcolo
aritmetico da scuola elementare per chiarire la situazione. I ricavi della
Lazio dell'esercizio precedente erano ammontati a 111,9 milioni di euro.
Dunque, affinché il rapporto potesse valere lo 0,47 ammesso da
Baraldi, l'indebitamento doveva essere di 238,08 milioni. Anche ipotizzando
che dal 30 marzo ad oggi esso non sia aumentato, circostanza irrealistica
perché la gestione produce da un paio di anni perdite mensili nell'ordine
dei 7 milioni, l'aumento di capitale da 110 milioni appena concluso ridurrebbe
l'indebitamento a 128,08 milioni. Dunque, il rapporto sarebbe pari a 0,87,
ampiamente lontano dal traguardo imposto dalle Noif.
Eppure la Lazio ha superato di slancio l'esame della Covisoc. Il motivo
potrebbe essere ricercato nel fatto che a Formello abbiano contabilizzato
il debito verso l'Erario, che al 30 aprile scorso ammontava a 75,5 milioni,
come se già fosse stato suddiviso in dieci annualità. E
dunque abbiano considerato solo la prima rata da 7,55 milioni. Ciò
per la richiesta, fatta all'Agenzia delle Entrate di Roma, di suddividere
il pagamento proprio in dieci parti. Ma un simile modus operandi non regge:
perché mai l'Erario dovrebbe accettare la richiesta laziale, per
giunta senza alcuna garanzia bancaria? E perché mai la Covisoc
avrebbe chiuso gli occhi, dando per scontato il sì dell'Erario?
E' il solito, gigantesco problema del conflitto di interessi, che riunisce
nella stessa persona, Franco Carraro, il ruolo di presidente federale
e di presidente di Mcc, banca d'affari del gruppo Capitalia, azionista
della Lazio nonché garante del successo del recente aumento di
capitale. Lo stesso Baraldi era consapevole della difficoltà di
soluzione del problema con il Fisco, perché, per ben cinque volte,
nel Prospetto informativo ha ripetuto che «il Piano di ristrutturazione
e quello industriale si fondano sull'ipotesi che la Società riesca
ad ottenere dalle competenti Autorità una congrua rateizzazione
non accompagnata da garanzie esterne, per le quali le banche che garantiscono
il buon esito dell'aumento di capitale, si sono dichiarate non disponibili».
Basta andare alle pagine 10, 26, 45, 55 e 84 per leggere questa litania.
E se le banche hanno negato le garanzie è perché Baraldi
le ha chieste, ben conoscendo l'obbligo di legge.
Infatti, la normativa che disciplina le dilazioni di pagamento verso l'Erario
si regge sull'articolo 19 del D.P.R. 602 del 1973. In esso è scritto
che la rateizzazione può essere concessa per un massimo di 60 rate
mensili (dunque cinque anni e non dieci come vorrebbe la Lazio) con l'obbligo
di garanzie bancarie se il debito supera i 50 milioni. Attenzione: si
tratta di lire e non dei 75,5 milioni di euro, poco più di 146
miliardi della nostra vecchia valuta, dovuti dalla Lazio. Né appare
applicabile il punto 3 dell'articolo 3 della legge 178 dell'8 agosto 2002,
che consente all'Agenzia delle entrate di concedere la dilazione «anche
a prescindere dalle condizioni di cui all'articolo 19» in caso di
«accertata maggiore economicità e proficuità rispetto
alle attività di riscossione coattiva, quando nel corso della procedura
esecutiva emerga l'insolvenza del debitore o questi è assoggettato
a procedure concorsuali». La Lazio non rientra assolutamente in
alcuna di queste ipotesi. Di più, il Fisco è tenuto ad incassare
subito il suo credito, in presenza dei mezzi freschi provenienti dall'aumento
di capitale. Resterebbero dunque 30 milioni di euro liquidi, del tutto
insufficienti a sanare la situazione economico-finanziaria. Per cui il
piano di ristrutturazione, per attuare il quale la Lazio ha chiesto i
soldi al mercato, si fonda su una circostanza estremamente aleatoria.
(Fonti:
www.ilmanifesto.it)
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